Gli isolanti realizzati con materie plastiche trovano largo impiego in edilizia da oltre 40 anni. Le elevate prestazioni, la garanzia di durata nel tempo e i costi non eccessivi ne hanno fatto la soluzione prediletta di progettisti e costruttori. Il loro impiego però rischia di essere penalizzato da provvedimenti normativi ispirati ad un male inteso concetto di “bioedilizia”.
Leggeri, efficienti, economici. Gli isolanti realizzati con materiali plastici incontrano il favore di progettisti e costruttori che vedono in questi prodotti una soluzione efficace per la coibentazione degli edifici. Stirenici (polistirene espanso sinterizzato e polistirene estruso) e poliuretani si dividono, con quote diverse, la maggior parte del mercato per le applicazioni in ambito civile. Un risultato straordinario, se si considera la durezza con la quale la crisi economica si è abbattuta sul settore edile, determinato principalmente dagli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica del parco immobiliare esistente, la cui crescita ha consentito di compensare il blocco delle nuove realizzazioni.
L’attenzione alle problematiche ambientali e al tema del risparmio energetico rappresentano un potente impulso all’impiego di questi prodotti, la cui diffusione appare destinata ad incrementare nei prossimi anni, anche grazie alle nuove normative sull’efficienza energetica nell’edilizia.
«La direttiva europea sulla certificazione energetica degli edifici promuove l’utilizzo di tutti gli isolanti termici e soprattutto di quelli plastici, ben noti per la loro efficienza. – spiega Rita Anni, segretario dell’Associazione nazionale poliuretano espanso (Anpe) – Recependo la direttiva 2002/91 CE, anche l’Italia si è dotata di un proprio apparato normativo in materia di efficienza energetica nell’edilizia che consentirà finalmente di avere strutture con livelli di isolamento simili a quelli di altri Paesi europei, requisito indispensabile per abbattere i consumi di energia. Il livello di coibentazione delle costruzioni italiane, infatti, è di gran lunga inferiore rispetto a quello degli edifici dei Paesi del Nord Europa o di realtà come Austria e Germania, e questo è causa di enormi sprechi».
L’efficienza energetica è uno dei parametri fondamentali per lo sviluppo di un edilizia sostenibile e con limitati impatti sull’ambiente. Eppure proprio attorno al concetto di sostenibilità ed ecocompatibilità dell’edilizia si registrano purtroppo, soprattutto a livello di Regolamenti Comunali, interpretazioni semplicistiche e fuorvianti che tendono a valorizzare l’origine più o meno “naturale” dei materiali impiegati nelle costruzioni.
Una tendenza in atto, soprattutto nei piccoli Comuni, già da qualche anno che il Piano casa, il provvedimento che concede premi in volumetrie per le costruzioni realizzate in modo ambientalmente sostenibile, può contribuire ad aggravare ulteriormente.
«Sul concetto di sostenibilità siamo pienamente d’accordo – spiega Anni -. Del resto siamo associazioni di imprese che producono e commercializzano manufatti che servono proprio a ridurre l’impatto ambientale delle costruzioni, una lotta dunque che ci vede in prima fila. Il punto è capire cosa si intende con il termine “sostenibilità”. Per alcuni ambientalmente sostenibile è sinonimo di origine naturale, ma questa equazione è del tutto falsa e infondata e genera pericolosi equivoci».
Un fenomeno che preoccupa perché premia prodotti dei quali a volte non si conoscono i vantaggi che possono garantire, né in termini prestazionali, né ambientali e neanche economici.
«L’impatto ambientale si misura con strumenti, l’analisi del ciclo di vita del manufatto, noti e disponibili – spiega Piana -. Ora, se tali analisi sono state condotte per gli isolanti plastici, la cui produzione, applicazione e smaltimento è severamente regolata da precise norme tecniche armonizzate, altrettanto non si può dire per molti prodotti di origine naturale. Paradossalmente, mentre tutti sappiamo il costo ambientale di un pannello di polistirene o di polistirolo, non abbiamo alcuna informazione riguardo il costo ambientale, ad esempio, di un pannello in fibra di canapa, o di cocco, o in lana di pecora». Un discorso analogo si può fare a proposito delle prestazioni. Il livello di coibentazione garantito da un prodotto sintetico è noto e certificato, così come la sua durata nel tempo. Non altrettanto si può dire degli isolanti di origine naturale di più recente diffusione, dei quali si conosce solo che la materia prima da cui vengono prodotti è rinnovabile, un dato incontestabile, ma che non niente significa molto. Non si sa ad esempio quale è il costo ambientale della loro produzione, del loro trasporto, e quale sarà il loro potere isolante e la loro durata nelle reali condizioni di impiego negli edifici. Le plastiche derivano tutte da fonti non rinnovabili, nella maggior parte petrolio, ma normalmente richiedono processi di lavorazione poco impattanti e assicurano prestazioni elevate per l’intera durata della vita dell’edificio ed altrettanto elevati livelli di coibentazione con una massa molto contenuta.
Aipe e Anpe pertanto si stanno attivando proprio per cercare di divulgare la necessità di operare scelte ambientalmente e tecnicamente corrette «Ciò che si è visto è il tentativo di qualche amministrazione a privilegiare l’impiego di alcuni prodotti piuttosto che altri, a discapito spesso dell’interesse dei loro concittadini, e in totale assenza di criteri trasparenti e scientificamente fondati – prosegue Anni -. Criteri di valutazione che contemplino l’impatto del prodotto a 360°, analizzando il rapporto costo/benefici sia dal punto di vista ambientale che economico».
18:23
Sono allibito di ciò che ho letto su questo articolo della sig.ra Anni. Dire che i materiali di origine petrolchimica sono per la riduzione dell’impatto ambientale, beh questo fa e mi fa capire, quanto sia elevata la non conoscenza scientifica onesta.
Che le abitazioni coimbentate con tali materiali creino un risparmio enrgetico per nucleo fam. ecc, su questo vi posso dare ragione la conducibilità termica è notevole, almeno per un quinquennio sicuro, prima che subentrino problemi di facile capibilità, elementarmente con tali prodotti si crea un isolamento tale delle abitazioni con problemi di facile comprensibilità poi (muffe, particelle fenoliche, spore, marcescenza strutturali, ecc ecc). Ma l’aspetto che bisogna rilevare è quanto CO2 che si emette in atmosfera sia per la produzione di tale prodotto, che per il riciclaggio. Poi, non sono prodotti che petrolchimicamente parlando, sono biodegradabili, perciò dovè la cattiva e pessima informazione che si fa su tali prodotti? E’ o non è verità, che sono inquinanti?
La mia onestà intellettuale scentifica mi porta a fare questo ragionamento molto elementare: è solo qui in Italia che questi pseudi conoscitori della scienza, si permettono di sostenere tali concetti legati solo ad un interesse economico elevato di aziende che invece di investire nel rispetto dell’ambiente circostante, pensano solo al suo “ambiente privato circostante e ben protetto” da organismi ben “conosciuti”.
Non nascondiamoci dietro un miserabile “dito”. Gente di “pura onestà intellettuale scientifica” come me, non sono qui in Italia ad operare ma guarda caso sono all’estero, dove valgono le capacità e non la “LOBBI” di appartenenza. Sono 331.000 in 10 anni i giovani e meno giovani scienziati che se ne sono andati dall’Italia, questo perchè finchè in questa Nazione, che un tempo ha sfornato Geni, Letterati, Artisti, Storia, ora sta generando solo imbecillità acuta dove il meglio se ne va e il peggio rimane, tutto sotto il naso di tutti e nessuno fa nulla. Chidetevi cosa potrebbero pensare i fondatori di quest’Italia che sta andando alla deriva. Quando mai si potrà far risollevare l’intelletto vero ai futuri italiani, finchè ci sono persone come queste (associate e altri), pronte a prostituirsi intellettualmente per pochi denari?
Concludendo, io non accetto questa disonestà intellettuale a discapito di quello che è il problema reale che la nostra casa Terra stà affrontando grazie al contributo di questa gente pseudo intellettuale industriale, assetata del profitto pensando che con il denaro si sitemi l’ambiente.
Nella mia azienda c’è una frase che campeggia anche nei depliant, coperta da copyright “La conoscenza del passato, determina il futuro”. A buon intenditor poche parole.
Cordialmente Luigi Ugolini, Imprenditore nel campo della ricerca scientifica sui prodotti di materiali ecologici da costruzione nel campo industriale, civile.
Parlare di bioedlizia quando non si conosce la materia è pericoloso, io ho investito molto su ciò, e senza aver chiesto nulla all’europa e allo stato Italiano.
Sapete perchè, non faccio parte a nessuna organizzazione “LOBBISTICA” quindi nessuno è stato disponibile a darmi un aiuto, perchè non potevo e non volevo dare nulla in cambio a “qualcuno” la “Mancetta”. Eppure la mia attività prosegue, credendo in ciò che è la mia idea: Salvaguardare L’ambiente che vivo con tutti i miei simili e possibile. E’ solo una questione di volontà, con pugno d’acciaio in guanto di velluto. Del resto questo è quello che mi chiedono.
Ps. leggetevi e studiatevi il protocollo di Kyoto. Buona lettura
09:41
In risposta al suo commento ci permettiamo di ribadire questo concetto in quanto raoppresenta a pieno la nostra posizione in merito: l’impatto ambientale si misura con strumenti, l’analisi del ciclo di vita del manufatto, noti e disponibili . Ora, se tali analisi sono state condotte per gli isolanti plastici, la cui produzione, applicazione e smaltimento è severamente regolata da precise norme tecniche armonizzate, altrettanto non si può dire per molti prodotti di origine naturale. Paradossalmente, mentre tutti sappiamo il costo ambientale di un pannello di polistirene o di polistirolo, non abbiamo alcuna informazione riguardo il costo ambientale, ad esempio, di un pannello in fibra di canapa, o di cocco, o in lana di pecora». Un discorso analogo si può fare a proposito delle prestazioni. Il livello di coibentazione garantito da un prodotto sintetico è noto e certificato, così come la sua durata nel tempo. Non altrettanto si può dire degli isolanti di origine naturale di più recente diffusione, dei quali si conosce solo che la materia prima da cui vengono prodotti è rinnovabile, un dato incontestabile, ma che non niente significa molto. Non si sa ad esempio quale è il costo ambientale della loro produzione, del loro trasporto, e quale sarà il loro potere isolante e la loro durata nelle reali condizioni di impiego negli edifici. Le plastiche derivano tutte da fonti non rinnovabili, nella maggior parte petrolio, ma normalmente richiedono processi di lavorazione poco impattanti e assicurano prestazioni elevate per l’intera durata della vita dell’edificio ed altrettanto elevati livelli di coibentazione con una massa molto contenuta.